Per continuare a curare pazienti con nostri alti standard
Milano, 29 mag. (askanews) – Il nostro Sistema Sanitario Nazionale ha un problema: la carenza di medici specialisti. Un problema che ancora non è stato risolto nonostante in questi anni i posti disponibili nei Corsi di Laurea in Medicina siano aumentati di oltre il 185% (passando dai 7 mila del periodo 2001 – 2010 ai circa 20 mila per anno del 2023-2024), e nonostante i contratti di formazione specialistica siano arrivati a più di 14 mila (cui si aggiungono anche i posti finanziati con fondi regionali e di altri enti pubblici e privati). Il nostro è un Sistema Sanitario virtuoso che, però, continua a essere sofferente. Lo sostengono la Conferenza permanente delle Facoltà e Scuole di Medicina e Chirurgia e l’Intercollegio di Area Medica con i Referenti delle Scuole di Specializzazione afferenti a quest’ultimo che, per la prima volta scendono in campo per lanciare un allarme: il recente decreto-legge PNRR-quater, che indebolisce e di fatto abbrevia il percorso di formazione specialistica, non può essere la soluzione perché il rischio è quello di formare medici non adeguatamente competenti per garantire cure di alta qualità ai pazienti.
“La Sanità italiana pubblica, nonostante le difficoltà degli ultimi anni, rimane un’eccellenza a livello mondiale. La base fondante di tutto ciò è un percorso formativo che, dalla laurea alla specializzazione, garantisce un’alta qualità dell’istruzione dei futuri medici – afferma il prof. Paolo Villari, Presidente della Conferenza permanente delle Facoltà e Scuole di Medicina e Chirurgia – Tuttavia, le recenti modifiche al percorso del medico in formazione specialistica che, va riconosciuto, nascono da necessità legate a condizioni emergenziali, destano non poca preoccupazione per l’effetto che potrebbero avere nel lungo periodo. A correre il rischio di non essere adeguatamente curati sono i pazienti che si troverebbero davanti medici in formazione, non ancora in possesso di tutte le competenze necessarie allo svolgimento dell’attività specialistica. Siamo molto preoccupati sia per la qualità della formazione che per le modalità con cui dovremmo mettere in pratica questa legge ed è per questo motivo che abbiamo inviato una richiesta ufficiale di chiarimenti ai Ministeri competenti e, per il loro tramite, al Governo, ribadendo la totale disponibilità a lavorare insieme per il mantenimento e il miglioramento continuo della formazione del medico specialista. Il nostro unico interesse è quello di rispondere alle necessità attuali del nostro Servizio Sanitario Nazionale e di continuare a garantire la qualità delle cure che tutto il mondo ci invidia”.
Ma cosa dice di preciso il decreto-legge PNRR-quater, di recente convertito in legge? Questa nuova legge permette di consolidare la possibilità – da parte di Aziende Sanitarie pubbliche e private accreditate – di assumere medici in formazione specialistica con contratti a tempo determinato, già a partire dal II anno di specializzazione. A questo si aggiunge che, attraverso la nuova norma, la prova di fine anno necessaria per il passaggio all’anno di corso successivo verrà sostituita con l’ottenimento di una certificazione delle sole attività pratiche rilasciata da parte degli enti in cui lo specializzando è assunto.
Questo significa che – con la nuova legge – il medico in formazione specialistica potrebbe superare l’anno con una sola certificazione di attività pratiche e senza che il Consiglio della Scuola ne abbia verificato anche le conoscenze e le competenze teoriche. Il medico in formazione specialistica, inoltre, in qualità di dipendente a tempo determinato, dovrà rispettare una dinamica di turnazione che comporterà una riduzione del tempo da dedicare allo studio vero e proprio. E, infine, questo sistema porterà inevitabilmente a evidenti discriminazioni tra medici in formazione specialistica dipendenti a tempo determinato in enti sanitari e medici in formazione non dipendenti appartenenti a una stessa Scuola, in quanto valutati e verificati in modo non equo e disomogeneo e in quanto, al termine del percorso di specializzazione, i medici con contratto a tempo determinato verranno automaticamente assunti a tempo indeterminato, mentre chi avrà privilegiato la propria formazione si troverà a dover competere duramente una volta entrato nel mondo del lavoro. La carenza di medici specialisti in Italia è dovuta ad una errata programmazione nel passato dei posti disponibili nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia e, principalmente, al limitato numero dei contratti di formazione specialistica rispetto al numero dei neolaureati. A questo si è cercato di porre rimedio, tuttavia, a oggi, sono più di 4.000 i posti che in media rimangono “vacanti”, con specialità meno scelte quali Medicina di Comunità e cure primarie, Microbiologia e virologia, Radioterapia. Medicina d’urgenza è la specializzazione più “bistrattata” con oltre il 70% dei contratti non assegnato. Ad acuire il problema, i circa 130.000 medici laureati in Italia andati a lavorare al di fuori del nostro Paese negli ultimi 20 anni.
In questo contesto, il decreto-legge PNRR-quater, oltre a rischiare di compromettere la qualità formativa del percorso di specializzazione, non risolve problemi gravi come la fuga all’estero da parte dei medici italiani e la scarsa attrattività di alcune specializzazioni, considerate a rischio elevato di contenziosi medico-legali e con limitati sbocchi di attività privata.
Da qui la richiesta di chiarimenti sull’applicazione della legge da parte della Conferenza Permanente delle Facoltà e Scuole di Medicina e Chirurgia e dell’Intercollegio di Area Medica, che invitano anche a valutare alternative più inclusive che assicurino maggiori tutele e diritti – prima fra tutte il miglioramento delle condizioni contrattuali – riconoscendo piena dignità al ruolo, anche professionale, dei medici in formazione specialistica. Inoltre, rinnovano la loro totale disponibilità a collaborare per il miglioramento continuo della formazione del medico specialista e al suo adeguamento alle necessità attuali, anche attraverso il potenziamento ulteriore – peraltro già in atto da tempo – dell’integrazione tra le Università e le strutture, ospedaliere e territoriali, del Servizio Sanitario Nazionale.