di Sara Calabria
NEW YORK – Mentre negli Usa continua l’ondata di solidarietà nei confronti di Luigi Mangione, il presunto killer di Brian Thompson, Ceo della UnitedHealthcare ucciso la settimana scorsa a Manhattan con alcuni colpi di arma da fuoco, su NewsNation è andata in onda una singolare intervista. I giornalisti Alex Caprariello e Ashleigh Banfield, nel corso di un collegamento in diretta dallo State Correctional Institution Huntingdon, il carcere in Pennsylvania dove è attualmente detenuto Mangione, hanno, in qualche modo, dato voce ai suoi compagni di cella.
“Posso confermare”, dice il giornalista alla sua collega, “che in questo momento, un momento abbastanza incredibile, i detenuti stanno proprio inneggiando a ‘Banfield’, il tuo nome, così come avevano promesso”. Caprariello si trova infatti davanti al carcere, a pochi metri dall’alta rete di recinzione che ne delimita l’accesso e i detenuti invocano il nome della conduttrice in studio. “Free him”, “Liberate Mangione”, si sente inoltre gridare da dietro le sbarre.
“Le sue condizioni fanno schifo”: sono loro, i detenuti. Rispondono in diretta alla giornalista che, dallo studio televisivo, vuole informazioni sulle condizioni in cui è tenuto il 26enne il quale, al momento, sarebbe rinchiuso in una cella singola. “Posso chiedere direttamente a loro se sono in grado di ascoltarmi, adesso, rispondete sì o no su una cosa: qualcuno di voi ha visto Luigi Mangione?” chiede Banfield dallo studio televisivo. La risposta arriva in diretta, amplificata dai microfoni sulle telecamere. “Noo!” gridano i detenuti. E poi: “Free him!”, “Free Luigi”.
Ma torniamo indietro di qualche ora quando, in mattinata, il giornalista era arrivato davanti al penitenziario. Inquadrato dalle telecamere, stava parlando di Mangione e delle condizioni dello State Correctional Institution Huntingdon. “Finita la trasmissione- racconta Caprariello- mi sono girato e i detenuti hanno gridato ‘Le condizioni fanno schifo!’ E allora ho capito che i detenuti stavano guardando NewsNation. Mi rispondevano. E potevano, in qualche modo, far sentire la loro voce”.
“Questa è la più strana intervista che io abbia mai condotto”, confessa la giornalista in studio. “Vale anche per me”, le fa eco il collega, annuendo. Fuori è buio e, mentre i due continuano a parlare, dalle finestre del carcere si vedono chiaramente le luci, all’interno delle celle, che si accendono e si spengono, ininterrottamente, in chiaro segno di protesta. E per far vedere che “loro”, i detenuti, sono lì. Che partecipano: “Free Luigi!” ripetono a squarciagola. Proprio come gridavano in mattinata, quando il sole era ancora alto e le loro voci, forse, erano meno roche.
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