Una professione in crisi da ricostruire insieme, ecco la proposta per il futuro della categoria
Mario Civetta (nella foto), già alla guida dell’Ordine dei Commercialisti di Roma, sarà il candidato leader alle prossime elezioni del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili.
La candidatura di Civetta nasce con l’obiettivo di promuovere una gestione più partecipativa e aperta del Cndcec. “Occorre dare maggiore voce agli Ordini locali, in particolare a quelli più piccoli, vero cuore pulsante della nostra professione”, ha dichiarato.
La prima azione concreta del gruppo che lo sostiene sarà l’avvio di un confronto diretto con i rappresentanti dei territori, con l’intento di raccogliere istanze, ascoltare proposte e definire insieme le linee prioritarie di intervento per il futuro del Consiglio Nazionale.
Cosa l’ha spinta a candidarsi come presidente del Consiglio Nazionale dei Commercialisti?
Ho condiviso la candidatura perché credo in un’idea semplice, ma oggi rivoluzionaria: che la nostra professione possa rinascere solo se chi la guida ascolta davvero. Non per cortesia, ma per metodo.
La mia visione del Consiglio Nazionale è quella di una ‘cabina di regia’ aperta, dove le decisioni nascono dal confronto tra territori, colleghi ed esperienze diverse. È un modello che non mi sono inventato oggi: è quello che in molti Ordini in Italia si pratica da sempre e che abbiamo praticato anche a Roma, quando ho avuto l’onore di presiedere l’Ordine.
Lì non abbiamo chiesto a nessuno da che parte stesse, ma cosa potesse portare. E spesso le voci più critiche sono diventate le più preziose. Perché la vera leadership non si misura con l’applauso, ma con la capacità di trasformare il dissenso in un progetto comune.
Oggi sento il dovere di portare quel metodo, quel principio di civile e costruttiva convivenza, nel più ampio ambito nazionale. Perché non c’è più tempo per le guerre di posizione. Il tempo è quello del ‘noi’.
Cosa contesta all’attuale gestione, che appare comunque apprezzata da una parte della categoria?
Riconosco il valore di alcuni risultati raggiunti, come la riforma dell’articolo 2407 del Codice civile: un traguardo atteso e importante per la categoria.
Ma una leadership, che deve essere una guida attenta, si misura anche dalla capacità di tenere unita la comunità che si rappresenta. E oggi, purtroppo, la categoria è divisa. Gli ‘Stati Generali dei Commercialisti’ ne sono stati il simbolo più evidente.
Credo che la vera forza di chi guida stia nel saper includere anche chi non applaude. Il dissenso non è una minaccia, è una risorsa. E il Consiglio Nazionale dovrebbe essere il luogo in cui tutte le voci trovano ascolto, anche quelle critiche.
Per questo mi candido: per ricostruire un clima di fiducia, dove sentirsi parte non dipenda dal pensiero uguale, ma dal rispetto reciproco.
Come risponde a chi l’accusa di rappresentare soltanto i grandi Ordini, trascurando le esigenze dei più piccoli?
Chi ci accusa di rappresentare solo i grandi Ordini forse non conosce bene il nostro percorso. Alcuni di noi hanno guidato realtà complesse come Roma, Milano o Torino ma abbiamo anche vissuto da vicino le difficoltà quotidiane degli Ordini più piccoli come Oristano e Biella.
Personalmente, da Commissario a Tivoli, ho potuto toccare con mano quanto possa essere impegnativo garantire servizi con risorse limitate.
Proprio da quell’esperienza nasce “Punto Ordini”, un progetto sviluppato insieme agli Ordini di Milano e Torino, pensato per supportare concretamente gli Ordini dei territori medio-piccoli.
È una rete operativa, non un’iniziativa simbolica: serve a dare strumenti, soluzioni e tempo a quegli Ordini territoriali che spesso devono fare tutto da soli e senza risorse economiche adeguate.
Il nostro è un progetto corale, costruito sull’idea che nessun Ordine debba restare indietro. Non esistono periferie professionali. Esiste un’unica comunità che ha bisogno di riconnettersi, condividere competenze, e aiutarsi. È questa la professione che vogliamo ricostruire. Insieme.
Quali sono le criticità principali che oggi vivono i commercialisti?
La prima criticità è sotto gli occhi di tutti: si lavora di più, si guadagna di meno. I numeri lo dicono chiaramente. Negli ultimi sedici anni il PIL è salito, anche se di poco. Il reddito reale dei commercialisti, invece, è sceso. Non è una percezione: è una certezza numerica, che si riflette nella vita di ogni collega.
È chiaro che le dinamiche economiche non dipendono direttamente dal nostro Consiglio Nazionale. Ma costruire una narrazione che racconta un boom dei redditi, facendo credere che la nostra condizione sia migliore di quella di altri, è un errore. Se non si prende coscienza del problema, non si compirà mai il primo passo per risolverlo. E questo errore diventa ancora più grave quando lo si commette davanti alla politica.
La seconda è forse ancora più preoccupante: la nostra Professione non attrae più. Sempre meno giovani si avvicinano agli studi. E chi lo fa, spesso ci resta poco. Le ragioni sono tante: incertezza economica, carico normativo, difficoltà a costruirsi un futuro dignitoso.
Il nostro progetto parte proprio da qui: dall’idea che la Professione non va difesa con le parole, ma ricostruita nei fatti. Rendendola di nuovo sostenibile, dignitosa, attrattiva. Non per tornare al passato, ma per restituire un domani credibile a chi ha scelto di fare il commercialista, o vorrebbe farlo.
Una professione che non garantisce reddito e non parla ai giovani è una professione che rischia l’estinzione. È per questo che sentiamo il dovere di ripartire, con coraggio e responsabilità.
Quali sono le priorità di intervento per il prossimo futuro?
Abbiamo oggi una delle professioni più complete e trasversali del sistema economico italiano. Eppure, continuiamo a non avere un solo ambito di competenza esclusiva. È un paradosso che dura da anni.
Anche in questa consiliatura il Consiglio Nazionale ha dialogato con la politica. Ma quel dialogo non si è tradotto in tutele vere, né in misure strutturali di valorizzazione. Per il futuro, serve un cambio di passo: meno attestati di stima, più risultati concreti.
La nostra agenda parte da qui: ridefinire i rapporti con l’amministrazione finanziaria e l’INPS – che per troppi colleghi sono ancora un campo minato – e riportare sul tavolo il tema delle tariffe. Parliamo di compensi parametrati su norme del 2012, o addirittura del 2002. È inaccettabile. Chi svolge una funzione di interesse pubblico non può essere trattato come un fornitore qualsiasi.
Su queste tematiche si valuterà la credibilità del futuro Consiglio Nazionale: non con le parole, ma con i risultati. E sarà su quelli che vogliamo – e dobbiamo – essere giudicati.
Cosa le dà la forza di crederci ancora, nonostante tutto?
Me lo chiedono spesso: ma chi te lo fa fare? E la risposta è sempre la stessa: i colleghi.
La forza mi viene da chi ogni giorno apre lo studio senza garanzie, da chi si rimbocca le maniche anche quando tutto intorno sembra complicarsi, da chi ancora crede che questa professione abbia un senso e che quel senso vada difeso.
Credo in una comunità stanca, sì, ma non rassegnata. Ferita, ma viva. E credo che, se in tanti decidiamo di rialzarci insieme, nessuna crisi potrà più dividerci o piegarci.
Perché in fondo, questa non è solo una professione. È il modo in cui ci prendiamo cura del Paese. E allora vale la pena combattere per restituirle futuro. Insieme.