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Russia, Yankelevich Bonner: “Nato sia più coinvolta, questa volta Occidente colga i segnali”

Dall'Italia e dal MondoRussia, Yankelevich Bonner: "Nato sia più coinvolta, questa volta Occidente colga i segnali"

(Adnkronos) – Non ci sono abbastanza pressioni su Mosca. La Nato deve considerare un suo coinvolgimento e deve dire chiaramente quello che intende fare. Altrimenti la Russia rappresenterà una minaccia diretta per l’Occidente. Smettere di combattere e fare la pace cosa significa? Che l’Ucraina sarà ingoiata. Ma anche che Vladimir Putin andrà avanti. In Moldova, in Romania, si rivolgerà contro la Polonia, anche senza invaderla. “E’ come un cancro che continuerà a diffondersi”. Tatiana Yankelevich Bonner, figlia di Elena Bonner, figlia adottiva di Andrei Sakharov, a lungo direttrice degli Archivi di Andrei Sakharov al Davis Center for Russian and Eurasian Studies dell’Università di Harvard, ricorda, in una intervista all’Adnkronos, che “sono anni” che Putin invia “segnali”, non colti, dall’Occidente, che il Presidente russo aveva da tempo iniziato “a tastare il terreno” per osservare le possibili reazioni, per esempio con il suo discorso dai toni minacciosi alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2007.  

Quindi i Paesi devono autorizzare che i sistemi d’arma che forniscono all’Ucraina possano essere usati per colpire obiettivi in Russia? “Non sono sicura di essere favorevole a un via libera contro obiettivi generici in Russia, ma obiettivi militari sì”, precisa Yankelevich Bonner, a Milano per una conferenza organizzata da Memorial dedicata alla lotta per diritti umani in Russia oggi, come ai tempi di Sakharov, occasione fra l’altro per presentare “Parole trafugate. Diari clandestini dalla Russia (1970-1971)” di Eduard Kuznecov, ripubblicato d recente da Guerini e Associati, un testo che riuscì a far pervenire in Occidente la madre di Tatiana, Elena Bonner. Che in epoca sovietica aveva dedicato un grande sforzo per organizzare l’uscita dal Paese di documenti, interventi, memoriali del marito e di altri oppositori al regime.  

“Abbiamo scelto di chiudere gli occhi. Ma non solo noi in Occidente – dice Yankelevich Bonner, che vive negli Stati Uniti dal 1977 – lo hanno fatto anche i nostri conoscenti in Russia. Mentre la mamma è stata sin dall’inizio molto critica di Putin. Aveva capito che avrebbe distrutto i semi della democrazia in Russia”. Chiudere gli occhi è quello che i russi hanno scelto di fare anche quando, nel breve periodo in cui gli archivi del Kgb sono stati aperti dopo il crollo dell’Urss, era stato possibile recuperare i dossier relativi ai parenti vittime delle repressioni. “Non è vero che le persone non sapevano, durante il Terrore. Non volevano sapere. E lo stesso è stato fatto nel 1992. Nessuno in Russia vuole conoscere la storia. Il conformismo ha dominato le generazioni nate dopo gli anni ’40 e ’50 del Novecento. Se i russi, non solo una minoranza di loro, fossero entrati negli archivi dopo il crollo dell’Urss, la propaganda di Putin non avrebbe avuto successo, non ci sarebbe stata nostalgia. Invece la società era pronta per le bugie e le distorsioni perché aveva piano piano cancellato la storia dalla sua vita”.  

Ai Paesi occidentali chiede quindi un “maggior attivismo”, di “smettere di tenere piedi in due scarpe”. Che sia per esempio presentata al Consiglio di sicurezza dell’Onu una risoluzione in cui si chiede la rimozione della Russia, Paese che porta avanti una guerra di distruzione contro un altro che non pone alcuna minaccia, un Paese affetto da puro imperialismo. Osserva Yankelevich Bonner che mentre in epoca sovietica il Politburo non era completamente immune dall’opinione pubblica mondiale, e in qualche modo rispondeva alle pressioni internazionali, “ora la situazione è diversa. A Putin non interessa quello che pensa l’Occidente”.  

“Una cosa che mi è davvero difficile capire è come l’Europa possa essere tanto cieca di fronte alla minaccia che esiste nella regione ogni giorno, come sia compiacente senza realizzare che i principi su cui è stata fondata sono minacciati”. “Sakharov era un fautore della autodeterminazione delle nazioni, un principio che aveva inserito nella sua proposta di Costituzione per l’Unione sovietica. Non importa quanto sia piccola, una nazione ha il diritto all’autodeterminazione con mezzi pacifici”, ricorda, sottolineando quanto lui parlasse anche del diritto di Israele di esistere entro confini sicuri, diritto di ogni Paese indipendente, quindi anche dell’Ucraina”.  

I dossier del Kgb su Sakharov e Bonner, centinaia di volumi, sono stati distrutti, secondo la versione ufficiale che fu data quando l’allora direttore dei servizi di sicurezza, Vadim Bakatin, aveva infine incontrato Bonner: “Una versione che non siamo ma stati in grado di corroborare. Pensavamo che non fosse vero, perché un giorno o l’altro ne avrebbero avuto bisogno”.  

Mentre gli archivi personali sono stati portati fuori dal Paese un poco alla volta. “Anni dopo che avevo lasciato l’Unione sovietica con mio marito, i miei si erano resi conto che nelle rare occasioni in cui l’appartamento di Mosca rimaneva vuoto, qualcuno entrava, qualcosa scompariva o cambiava di posto – racconta – La mamma ha iniziato a organizzarsi per inviare documenti all’estero, da noi negli Stati Uniti. Ogni volta che se ne presentava l’occasione, attraverso corrieri diplomatici, amici stranieri. Lei era la persona che si occupava di portare fuori le cose. E dato che mio marito rappresentava Sakharov, era lui la persona giusta per raccogliere le lettere, gli appelli, i discorsi in occasione del conferimento di una qualche onorificenza. Anche dopo la fine dell’esilio a Gorki, Sakharov non ha voluto che i documenti tornassero. Riteneva che appartenessero al mondo intero, che non fossero patrimonio esclusivo sovietico o russo ma dell’umanità”.  

L’archivio del Premio Nobel per la pace Sakharov è stato acquisito nel 2004 dalla Biblioteca di Harvard (che possiede altri archivi importanti, fra cui quello di Trozki). “Ed è aperto. A chiunque voglia fare ricerca”, sottolinea Yankelevich Bonner, denunciando come “non sia usato abbastanza”. “Diversamente da quello che accadeva in epoca sovietica sono in pochi, lo sono perlomeno stati fino a ora, coloro che si sono dedicati agli studi russi. L’interesse per la storia della Russia e dell’Urss è scemato”. Questo ha avuto un impatto anche sulla società russa. Che si è come “incapsulata” nella sua posizione, nella sua visione del mondo. “Un paradosso, nel momento in cui invece si viaggiava all’estero”.  

Non c’è stata neanche una trasmissione di esperienza fra le campagne condotte allora in Occidente, anche dalla stessa Yankelevich Bonner, che fu per esempio ricevuta da Sandro Pertini al Quirinale nel 1984, per un appello in sostegno di Sakharov e Bonner allora in esilio a Gorki, e quelle che vengono fatte ora, per oppositori in carcere come Vladimir Kara-Murza.  

L’archivio Sakharov – in parte duplicato al Centro Sakharov di Mosca fatto chiudere da Putin – comprende la collezione Elena Bonner, dell’intera famiglia di Sakharov, una collezione sui diritti umani, ma anche la collezione Vasily Grossman. “Ed è particolarmente simbolico perché Bonner e Sakharov sono state due delle cinque persone coinvolte nello sforzo per portare il manoscritto di ‘Vita e destino’ fuori dall’Unione sovietica’.  

Quindi Kuznecov, che viene “adottato” a casa di Elena Bonner, quando ancora lei non aveva conosciuto Sakharov e lui, studente di filosofia, aveva ricevuto una prima condanna per propaganda anti sovietica, per il suo ruolo nelle riviste clandestine. Fu poi condannato a morte per tradimento, per aver tentato nel giugno del 1970 di dirottare un aereo per fuggire in Israele, dal momento che gli era negato il diritto a lasciare il Paese normalmente. La pena poi commutata in 15 anni di carcere. “Kara-Murza ora è stato condannato, anche lui per tradimento, ma a 25 anni di carcere”, denuncia Yankelevich Bonner.  

Elena Bonner aveva trovato un avvocato per ognuno degli imputati di quel processo. Aveva seguito le udienze ed era riuscita a farne arrivare i resoconti ai corrispondenti stranieri. I diari vengono scritti da Kuznecov con grafia minuscola su carta cerata trafugata dall’officina in cui lavorava nel campo di prigionia in Monrovia, carta usata per avvolgere i trasformatori elettrici che vi si producevano. Nel 1972 una donna lascia un rotolo di carta delle dimensioni di un dito a Bonner. Che li fa trascrivere in grafia leggibile. E poi li fa arrivare in Occidente. Vengono pubblicati nel 1973 in Italia e in Francia. Un enorme smacco per il Kgb. Riflessioni degli anni Settanta che ci riportano all’oggi, sottolinea Patrizia Deotto dell’Università di Trieste, presentando la riedizione dei diari, accanto a Yankelevich Bonner, all’incontro moderato da Elena Kostioukovitch al Memoriale della Shoah di Milano.  

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